I racconti di Francesca 2

Secondo capitolo

Il 9 febbraio del 1946 mi sono sposata con Oscare. Io avevo sedici anni e sono andata a vivere alle Coroglie in mezzo ai boschi.

Di giorno andavo con le pecore e ogni tanto ne perdevo qualcuna di ottantanove che avevo. Mi sono fatta tanti pianti per quelle pecore che scappavano ma poi tornavano sempre.

Ma il matrimonio è stato bello. Sì! E lo voglio raccontare.

Al mattino noi sposi e tanti amici e parenti siamo andati in Collegiata.Dopo la cerimonia siamo tornati a Palazzolo dai miei genitori che avevano preparato un bel pranzo con una cuoca di Torrenieri. Subito dopo mangiato cominciò a piovere e a tirare vento e poi di nuovo il sole.Quel giorno il tempo ha matteggiato sempre ma la festa era bella. Da Palazzolo ci spostavamo negli altri poderi e in ognuno i contadini ci facevano il rinfresco. Così a La Rosa e a Greppomagni e a Bellaria e alle Querciole. Arrivammo alle Coroglie che era già buio e quella era la mia nuova casa. Oltre ai suoceri c’erano cognati e cognate. Eravamo in tanti e io mi sentii morire. Piccola e sperduta com’ero che avevo solo 16 anni. Quanto piangere che feci.

Dopo otto giorni che ero sposata andai a trovare la mia famiglia per piangere anche da loro e quando tornai a casa da mio marito lo trovai che lo stavano portando a letto perché si era sentito male nel campo. Gli erano venute le convulsioni e la febbre alta. Io l’avevo visto tre ore prima che stava bene e mi sono spaventata ma i miei suoceri dissero che loro ormai non avevano più paura. Lo aveva fatto tante volte.

A me però non lo aveva mai detto nessuno.

Questo succedeva per via di una ferita di guerra alla coscia.

Per curarsi Oscare andò anche a Firenze all’ospedale militare per dieci giorni e intanto io lavoravo con una bambina di sette anni e una di quindici giorni e per la tanta fatica di lavorare e fare tutto e stare sola la febbre era venuta anche a me. Dopo come Dio volle me lo vidi arrivare con un carabiniere che lo accompagnava per il pericolo delle convulsioni.

Io sono stata tanto felice di vederlo. Perché avrei potuto perderlo per sempre e ora vi racconto.

Era successo un pomeriggio che si mieteva e io dovevo restare con le bambine. Allora Oscare dopo mangiato si incamminò prima di me per andare nel campo.

Quando ci arrivai anch’io più tardi lo vidi accanto al pozzo che ci serviva per l’orto sotto una bella quercia. Era fermo lì a giocherellare con la falce.

Allora io gli sono andata dietro piano che lui non si è accorto. L’ho stretto con le braccia attorno al collo e gli ho tirato un bacio. Lui si è sorpreso e mi ha chiesto che ci facevo lì.Io risposi che avevo da fare e lui mi disse grazie.

Grazie perché se non arrivavi tu io mi buttavo nel pozzo.

Per questo lo avevamo mandato all’ospedale e lì lo hanno curato bene. Ma ogni tanto ci ricascava e si accorgeva quando gli arrivava il suo male.

Per non dare dispiacere alle bambine usciva dalla porta e scivolava lungo le scale. Io dicevo alle bambine che il babbo voleva giocare così loro non si impaurivano.

Quanta sofferenza.

Una volta sono stata anche dalla strega di Campiglia che ha guastato cuscino e materasso e ha fatto bere a Oscare centouno uova. Il primo doveva essere un uovo regalato dai suoi e poi avrebbe dovuto andare a prenderne uno al giorno dai contadini fino ad arrivare a centouno.

Dentro il cuscino aveva trovato una corda fatta a croce e una ghirlanda di piume molto lavorata.Le fece bruciare a mezzanotte nel caminetto di casa.A quel punto poteva venire una persona o una bestia a casa ma noi non si doveva aprire a nessuno.

A mezzanotte io e mio cognato abbiamo buttato tutto nel fuoco e siamo andati a letto tutti spaventati. Dopo un secondo abbiamo sentito un cane ululare che faceva venire i brividi ma noi non abbiamo aperto.

Quel cane era come un’anima urlante.

Quando Oscare stava male si sbatteva da far paura. Io lo facevo andare a letto e mi mettevo a raccontare delle cose belle per farlo calmare.Fingevo di non ricordarmi i nomi delle cose per farmele dire da lui perché così non pensava al suo male e dopo un po’ si addormentava felice come un bambino.

Per un anno intero sono stata sulla sedia a parlargli e cercavo che non si svegliasse. Così mi ritrovavo al mattino che lui aveva dormito e io no.

Così sono riuscita a guarirlo. Con la mia pazienza.

Era un burlone il mio Oscare. Una volta si fa trovare bello steso in terra come morto. Io caccio un urlo e piango e chiamo Oscare Oscare. Ascoltavo se gli batteva il cuore e allora lui si mette a ridere. Allora mi vuoi bene davvero mi dice.

Per vedere se lo amavo mi faceva quasi morire.

Era giocherellone e burbero però mi voleva bene. Dalle sue figlie si faceva fare tutto anche mettere i bigodini nei capelli e il rossetto sulle labbra. Quando è nato il figlio maschio ha fatto festa per tutti i suoi amici e ha pagato una damigiana di vino a tutti in piazza.

Adorava tutti i suoi tre figli, il mio Oscare che in guerra ne aveva viste tante ed era tornato con un male cattivo dentro.

E un giorno aveva anche pensato di buttarsi nel pozzo.

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