I racconti di Francesca

Sono nata all’Ombicciolo comune di San Quirico d’Orcia il 30 novembre del 1929.

Mio fratello Giorgio aveva diciotto mesi più di me e quando sono nata alle otto del mattino la mia nonna Beppa faceva la polenta nel paiolo sul focolare.

Così mentre io stavo nascendo la mia nonna preparava la colazione di polenta salsiccia fegatelli uova.

Diceva sempre Dore mio babbo che dopo la mia nascita hanno invitato la levatrice a fare la colazione con loro. Che erano una bella famiglia numerosa come ai tempi lo erano tutte le famiglie. La levatrice disse di sì…

Mio padre restò meravigliato nel vedere una signora del paese che era anche colta con tanto appetito. Infatti lei si mangiò otto fegatelli otto salsicce cinque uova. Dovevano piacerle proprio tanto quelle buone cose genuine. Fatte con il nostro maiale.

Quando la mia mamma mi allattava dava il latte anche al cugino Aldo. Perché sua madre era anziana e non aveva più latte.

Ne avevo tanti di cugini e giocavamo tutti nell’aia ma si facevano anche danni. Un giorno io e il mio cugino Aldo abbiamo bevuto tanto e ci siamo ubriacati! Eravamo in cinque ma la colpa fu di mio fratello Giorgio che diceva bevete, bevete tanto è acquarello! Ma invece era vino. Lui furbo faceva finta di bere ma noi invece si beveva davvero.

Quando arrivarono i miei genitori e anche gli altri ci trovarono così tutti addormentati sull’aia. E ci hanno dovuto portare a letto in braccio.

Anche ora a ottantatré anni ricordo bene tutte le birichinate che si facevano come quella di mia cugina Ida. Che una sera mi ha tagliato tutti i ricci biondi perché era gelosa!

Quando avevo cinque anni e mio fratello Giorgio sette si andava a far pascolare i maiali e i montoni. Io andavo già a scuola ma la mattina prima di andare dovevo portare fuori i maiali per un’ora in primavera a mangiare l’erba e a novembre per la ghianda. Al pomeriggio poi li dovevo portare fuori di nuovo per mangiare.

I primi anni alle elementari facevo i compiti con il libro aperto mentre pascolavo gli animali. Ero molto brava a scuola io. Prendevo sempre 9 e 10.

Ma poi a dieci anni ho dovuto smettere la scuola per andare a lavorare nei campi o fuori con le bestie o ad aiutare i nonni e i genitori. Il lavoro era tanto ed eravamo in pochi.

Due nonni, due genitori, due figli.

Oltre al lavoro nei campi c’erano le mucche da mungere e poi da andare alla latteria in paese a vendere il latte. Io ho faticato tanto per portare dal podere due stagne di latte da 11 litri ciascuna. Erano più grandi di me che ero ancora piccina e pesavano…

Poi è nata mia sorella Giuseppina e prima era arrivato Viviano e il lavoro aumentava per crescere i fratelli e custodirli e badare a loro che non facessero danni.

E poi venne la Guerra.

Ci mitragliavano tutti i giorni.

Non lo dimenticherò mai il giorno dell’11 giugno 1944 quando fummo mitragliati dai caccia bombardieri tedeschi contro gli americani. Ci toccò scappare e andare alle Bandite.

Presi mio fratello Viviano e mia sorella Beppina in braccio e scappai a rifugiarmi in un capanno a Le casette.

Quel giorno ci hanno mitragliati tutto il giorno ma io e la mia famiglia restammo salvi mentre morì Cosimo e un militare che era con lui. Fu ucciso anche un cavallo che trainava un calesse con dei vecchi.

Morì anche un maiale. La moglie di Cosimo si salvò.

Fummo costretti a spostarci a Celle come sfollati. Trovammo tante persone scappate da casa e senza viveri come noi. Per fortuna c’erano dei partigiani nostri compaesani che riuscivano a fare il pane e anche a macellare qualche vitello e qualche maiale. Cosicché non si morì di fame.

Sì ma si viveva a stento e si dormiva sui palchi in terra o dove capitava.

Un giorno arrivarono a Celle dei tedeschi.

Posteggiarono un camion proprio davanti alla porta dove si stava noi in trenta…perciò per tre giorni e tre notti siamo rimasti ammassati lì senza poter uscire senza mangiare né bere né lavarci né nulla. Per i nostri bisogni ci toccò adattarci con i secchi.

Si doveva stare zitti per non farci sentire dai tedeschi ché se si fossero accorti di noi ci avrebbero ammazzati tutti.

Non si sapeva niente di dove erano mamma babbo e nonni come anche i miei fratellini e Giorgio.

Poi finalmente una mattina i tedeschi se ne andarono.

E chissà se veramente non si erano accorti di noi.

Due ore dopo la loro partenza ci ritrovammo tutti babbo mamma nonni e fratelli. Anche per le altre famiglie è stato bello ritrovarsi. La sera stessa quando fece notte ci spostammo a Le Casette dove c’era un contadino.

Duccio si chiamava. E aveva due figlie.

Con noi c’erano anche i Vannini che però erano ricchi e avevano tanti poderi e allora se ne andarono a Oria bianca perché pensavano di stare più al sicuro. E avevano ragione.

Noi poveracci dormivamo nella stalla. Ma nella notte arrivarono quattro marocchini a dare noia alle donne di Duccio che erano in casa.

Noi sentivamo urlare senza poter fare niente.

Finché due dei marocchini entrarono nella stalla.

Allora la mia nonna Beppa corse a prendere una zappa e gliela presentò dalla parte del taglio dicendo di me non vedete che è una bambina piccola che ha ancora le trecce vergogna dovete avere lasciatela stare. Lasciatela stare.

Loro guardarono una volta me.

Una volta la mia mamma.

Una volta la nonna e la zappa di taglio. E se ne tornarono di sopra.

Abbiamo avuto fortuna ma moglie e figlie di Duccio invece no.

Loro le violentarono.

La mattina dopo ce ne andammo diritti al Riguardone. Dove c’era il Comando degli Americani così potevamo essere più al sicuro. Non potevamo tornare al nostro podere tutto bombardato.

Così si dormiva al Riguardone e si lavorava nei campi.

Ma la paura non doveva ancora finire perché un pomeriggio con babbo e mamma si stava andando a tagliare il fieno. Per la strada accanto al fontone aspettavano due marocchini che non ci levavano gli occhi di dosso.

Mio babbo gli presentò la falce e io dietro di lui urlavo e mamma piangeva.

Per fortuna dal podere Riguardone gli americani che avevano sentito vennero lì e li ammanettarono. Loro si difendevano dicendo una piange l’altra fa behh behhh siete merda!

Ci insultavano.

Qualche giorno dopo un colonnello mi disse oggi andiamo via noi signorina Francesca. E da domani restano i marocchini signorina Francesca.

Scherzava. Lui.

Dopo una settimana se ne andarono tutti.

Finalmente riuscimmo a tornare a casa e la mia mammina si mise subito al lavoro con la sua macchina da cucire e ci rivestì tutti con le tende che erano rimaste dopo il passaggio del fronte.

Agli uomini pantaloni e camicie e a noi donne una vestaglia ciascuna.

E si andò avanti così. Per tanto tempo.

DOCUMENTI

BRIGATA D’ASSALTO GARIBALDINA “MENCATELLI”Comando del Distaccamento di Ripa d’Orcia

San Quirico d’Orcia, lì 30 giugno 1944

Al Comando delle truppe alleate dislocate nel Comune di San Quirico d’Orcia

Oggetto: richiesta di provvedimenti per la tutela della popolazione

I partigiani del Comune di San Quirico chiedono che immediatamente cessino le violenze di domicilio da parte delle truppe alleate, che sia posto fine al saccheggio dei miseri resti delle abitazioni e che non si ripetano più le violenze contro le donne.

Se immediatamente non saranno presi provvedimenti per la tutela della popolazione civile e della proprietà privata tutti i partigiani riprenderanno le armi per la difesa delle loro spose, sorelle e figlie insieme ai resti delle loro case.

I nostri morti nella lotta contro i tedeschi e i fascisti, i nostri feriti, i pericoli sfidati, i sacrifici sopportati nei boschi e nelle prigioni, il contributo da noi dato per la libertà e le perdite inflitte al nemico impongono o l’immediato intervento dei comandi alleati o il nostro ritorno alle armi.

Il Comandante del distaccamento

Carlo Magno

(Documento della resistenza in Val D’Orcia estratto da “Le mie memorie” di Carlo Sorbellini, editrice Don Chisciotte)

“Il 15 giugno 1944 le avanguardie del Corps expéditionnaire français superavano il fiume Paglia entrando nel territorio senese e sferrando l’attacco contro i tedeschi..

Gli attaccanti erano gli stessi soldati che, un mese prima grazie a una brillante azione nella valle del Liri, avevano messo in crisi la linea Gustav. Del resto il fronte senese, povero di ampie vallate, di comode vie di comunicazione e prevalentemente accidentato, permetteva di sfruttare nel migliore dei modi le caratteristiche della fanteria leggera francese che si era rivelata particolarmente abile nelle aree montane.

Il corpo di spedizione transalpino era composto da quattro grandi unità, la I Divisione Francia libera, forte di 15.491 uomini di cui 9.012 europei e il resto di altre nazionalità; la II Divisione di fanteria marocchina,composta da 13.895 uomini di cui 6.578 europei e il resto africani; la III Divisione di fanteria algerina (quella che liberò Siena), composta da 13.189 effettivi di cui 6.353 europei e 6.835 africani; la IV Divisione marocchina da montagna, e composta da 19.252 uomini di cui 6.545 europei e 12.707 africani.

Oltre a queste unità, costitutite nel Magreb liberato a partire dal 1943, ben armate e addestrate, si aggiungeva una riserva di 29.431 elementi, circa metà europei e metà africani e infine i Goums, in tutto 7.833 uomini, di cui solo 645 europei, comandati dal generale Augustin Guillaume..

Furono proprio questi ultimi a rimanere particolarmente impressi nell’immaginario della popolazione senese, sia per il proprio, indubbio, valore sul campo di battaglia che per una serie di violenze contro i civili.

Il termine goumier deriva dalla francesizzazione del sostantivo arabo qawm che significa tribù, gruppo sociale; tali truppe erano infatti inquadrate in compagnie chiamate goums forti di duecento uomini ciascuna; tre o quattro di tali reparti formavano un tabor (reggimento).

Ogni goum era formato da tre plotoni di fanteria, uno di cavalleria (che, quando era impegnato fuori dall’Africa, si trasformava, di sovente, in fanteria), uno di mitragliatrici, uno di mortai e uno di mulattieri per il trasporto dell’equipaggiamento.

L’insegna dei goumiers era la koumya, ossia il pugnale ricurvo dei berberi e la loro divisa era composta da una lunga veste in lana grezza a strisce (la djellaba), il turbante ed i sandali ai piedi (questi ultimi sostituiti, in seguito, da antiquati elmetti di tipo brodie e da scarponi d’ordinanza).

I goumier avevano avuto il loro battesimo del fuoco nella Seconda guerra mondiale operando con successo in Tunisia contro i tedeschi e gli italiani, in seguito erano stati impiegati in Sicilia, in Corsica e sul fronte di Cassino per poi arrivare in Toscana sempre agli ordini di Augustin Guillaume..

E furono proprio costoro che buona parte della popolazione senese vide, dopo la partenza dei tedeschi, invece dei tanto sospirati americani con le loro sigarette e la cioccolata.

Purtroppo, in molti casi, il primo impatto non fu dei migliori. Nonostante una serie di brillanti successi tattici come l’aggiramento di Montalcino o il superamento del fiume Merse presso il ponte a Macereto le violenze non mancarono. Non si ebbero episodi diffusi e generalizzati come quelli di Esperia o Ausonia ma il bilancio fu lo stesso pesantissimo.

Alcuni partigiani della formazione Spartaco Lavagnini riferirono che nella sola cittadina di Abbadia San Salvatore le truppe francesi violentarono sessanta donne, nonché alcuni uomini, senza tener conto dell’età delle vittime; vennero inoltre operati numerosi saccheggi. Le proteste inoltrate dagli stessi partigiani agli ufficiali transalpini non sortirono alcun effetto.

Gli stupri perpetrati dagli uomini del Corps  expéditionnaire continuarono a San Quirico d’Orcia, Casciano di Murlo, Murlo, Casole d’Elsa, Monteriggioni, Colle val d’Elsa, Poggibonsi Pian dei Campi e Monticiano tuttavia non è facile quantificare il fenomeno per via dello stillicidio di fatti isolati spesso non denunciati dalle vittime a causa della vergogna.

A un certo punto i comandanti americani chiesero ai colleghi francesi di contrastare le violenze delle proprie truppe contro la popolazione locale.

Il generale Guilluame reagì  in modo ufficiale, seppur minimizzandole, ammettendo le violenze che venivano tuttavia attribuite non tanto ai reparti combattenti quanto agli addetti ai servizi di retroguardia. Ufficiosamente però si cominciarono a prendere provvedimenti drastici. A Casal di Pari, in seguito a un certo numero di stupri, cinque goumiers vennero colti in fragrante, fucilati ed i corpi esposti nella piazza del paese dietro ordine dello stesso Guillaume.

Nonostante l’esempio la scia di violenze continuò e si ha notizia di ufficiali francesi che procedettero a punizioni cruente ed esecuzioni sommarie. Gli alleati completarono la liberazione del territorio senese nella seconda metà del luglio 1944 e pochi giorni dopo l’intero Corps expéditionnaire français venne richiamato nelle retrovie per partecipare allo sbarco in Provenza che avvenne il 15 agosto dello stesso anno.”

(Estratto dal saggio Gli eroi maledetti. I goumiers e la liberazione del territorio senese (giugno-luglio 1944))

Riccardo Bardotti – Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea

Una replica a “I racconti di Francesca”

  1. Avatar lucabardiyahooit
    lucabardiyahooit

    Grazie Mita.

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